Magda Genuin, dalle gare iridate all’impegno per i giovani

La fondista agordina si racconta e ricorda gli anni dell’agonismo
FALCADE . Tra i Pirenei e le Dolomiti, tra le pappe per Nicolàs (9 mesi) e i camp per i giovani atleti delle nazioni emergenti. La vita ad alta intensità di Magda Genuin continua anche dopo la conclusione della carriera agonistica. La fondista agordina, ragazza brillante, per anni punto di riferimento della velocità azzurra in Coppa del Mondo, Mondiali e Olimpiadi, da tempo ha lasciato la sua Falcade per trasferirsi a Jaca, sui Pirenei spagnoli della provincia di Huesca (regione dell’Aragona), a una ventina di chilometri dal confine con la Francia. Tra le sue montagne però Magda ritorna spesso. Proprio in questi giorni è in Italia per un raduno organizzato dalla Federazione internazionale dello sci, dedicato ai giovani dei paesi che hanno pochi mezzi per proporre ai loro talenti un’attività di alto livello. L’abbiamo incontrata per una chiacchierata sulla sua vita, la carriera, lo sport e gli sci stretti, partendo proprio dal camp proposto dalla Fis a Predazzo.


«Da tre anni la federazione internazionale organizza questo raduno, dedicato alle nazioni emergenti o con pochi mezzi come ad esempio Armenia, Macedonia, Ucraina, Estonia e Lituania» spiega Magda che, oltre ad essere maestra di sci, ha pure le qualifiche di allenatrice di terzo livello e istruttrice. «Quest’anno i ragazzi sono stati venticinque e ogni nazione era presente con un proprio tecnico. È stata un’esperienza bellissima. Quello che mi ha colpito di più è vedere come questi ragazzi, alcuni dei quali ad esempio non hanno mai fatto skiroll in classico, abbiano poche risorse ma una “fame” immensa: sapevano che questo camp è un’opportunità unica e non si sono mai tirati indietro. L’altro giorno sul Valles faceva freddo, pioveva e nevicava eppure nessuno di loro si è tirato indietro: tutti sono arrivati in cima. Sarebbe bello che i nostri ragazzi vedessero quale impegno ci mettono».


Hanno poca “fame” i nostri ragazzi?


«Senza voler generalizzare e senza voler disconoscere i grandissimi meriti che i corpi militari hanno nel garantire agli atleti la possibilità di svolgere attività ad altissimo livello, per un ragazzo il rischio di entrare in un corpo militare a 18 anni è quello di “sedersi”. La sicurezza per tutta la vita ti fa entrare in uno stato di benessere che non fa bene. Un arruolamento posticipato, invece, credo ti darebbe delle motivazioni in più. Non solo: ti offrirebbe anche una motivazione in più per scegliere di continuare a studiare».


Già, il binomio studio-sport. Un’abbinata che tu hai portato avanti facendo sport ad alto livello e laureandoti a Padova in Scienze dell’educazione.


«Mi sarebbe piaciuto studiare Psicologia ma c’era l’obbligo della frequenza. Così ho optato per Scienze dell’educazione. Sono riuscita a conciliare lo sci e lo studio anche se evidentemente ci ho messo un po’ più tempo di uno studente normale ad arrivare alla fine. Credo sia utilissimo per un atleta essere impegnato su due fronti: il focus esclusivo sullo sport rischia di travolgerti in un vortice pericoloso, soprattutto quando hai dei momenti no. In più, portare avanti lo studio ti permette di non assolutizzare lo sport, di vedere che la vita è anche altro e di prepararti al momento in cui la carriera agonistica finirà».


Ti sei laureata con una tesi su “Ruolo educativo dell'allenatore sportivo in età giovanile”. La stai mettendo a frutto?


«Sì, d’inverno lavoro come maestra alla scuola di sci di Somport. Lavoriamo tantissimo con le scuole. Durante il periodo estivo sono responsabile di un centro estivo per bambini dai 7 agli 11 anni».


Un presente intenso, un passato altrettanto intenso. Che carriera è stata quella di Magda Genuin?


«Non avevo un motore Ferrari e, proprio per questo, sono stata un’atleta che ha fatto della professionalità il suo punto di forza: dall’allenamento alla scelta dei materiali alla cura della tecnica - fondamentali in quest’ultimo ambito i cinque anni trascorsi alle Fiamme Oro - non lasciavo nulla al caso, curavo nel dettaglio i particolari. Per quanto riguarda i risultati, l’avvento delle sprint mi ha dato una grossa mano nell’essere arrivata dove sono arrivata».


Nel tuo palmarès ci sono 12 podi in Coppa del Mondo, tra i quali tre primi posti nella team sprint con Arianna Follis, 4 partecipazioni ai Mondiali, 3 partecipazioni alle Olimpiadi, 13 medaglie ai campionati italiani. Qual è stato il momento più bello?


«Il primo podio in Coppa, a Canmore 2008, terza. E poi il quinto posto nella sprint di Vancouver ai Giochi 2010. Ecco, gli anni dal 2008 al 2010 sono stati l’apice della mia carriera».


Che cosa ti manca nella bacheca dei trofei?


«Una vittoria individuale in Coppa, sfumata per appena 2 decimi nella sprint di Rybynsk (Russia) nella stagione 2009-2010, e una medaglia olimpica. Ma non ho alcun rammarico».


Un po’ di amarezza per il modo nel quale si è chiusa la carriera però c’è.


«Diciamo che mi manca non aver chiuso in bellezza, non aver dato l’addio all’agonismo con una festa come si deve ma nelle ultime due stagioni, 2010 e 2011, non mi ci ritrovavo più, non mi piaceva più quello che stavo facendo».


L’esclusione dalla staffetta iridata di Oslo 2011 ha pesato nelle decisioni. Come le incomprensioni e il poco dialogo con la direzione tecnica.


«Oslo è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Per il resto dico questo: io ero un’atleta alla quale piaceva pensare, capire, chiedere il perché. A quel perché non mi è stata data risposta. In ogni caso avrei chiuso la carriera solo una stagione più tardi».


Delle tre Olimpiadi qual è stata la più bella?


«Per il risultato Vancouver 2010. Per l’atmosfera Salt Lake City 2002: era la prima, tutto era nuovo, era bellissimo solo il fatto di esserci. Di Torino 2006 non ho un gran ricordo, sia per i risultati (48.ma nella 10 km, 19.ma nella sprint, ndr) sia per l’atmosfera: di fatto ho vissuto solo le due giornate di gara, per il resto non ho visto nulla, non ho respirato l’aria dei Giochi».


Ti manca l’agonismo?


«No. Faccio fatica a mettere il numero, faccio fatica … a fare fatica. Però continuo ad allenarmi: in estate faccio skiroll due o tre volte a settimana perché mi piace continuare a sciare bene. E poi palestra e camminate in montagna».


Diamo uno sguardo allo sci di fondo attuale.


«Credo che il livello delle azzurre sia superiore rispetto a quello che finora hanno dimostrato. Gli ultimi sono stati anni di riassetto, potranno tornare a fare belle cose. Più in generale, in Italia il fondo è in una fase di crisi: i praticanti sono meno e dunque anche il livello del vertice si è abbassato. A livello internazionale va reso più appetibile creando eventi di contorno alle gare che richiamino gente».


Cosa ti ha insegnato lo sci?


«Mi ha dato la possibilità di viaggiare e di conoscere tanta gente. Soprattutto, mi ha fatto capire che se ti impegni e fatichi i risultati arrivano».


Ultima domanda: meglio fare l’atleta o la mamma?


«Indubbiamente la mamma»!


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