Mirco Barp, dai mitici Panthers alle promozioni nella pallavolo

Gianluca Da Poian / BELLUNO
Tifoso, dirigente, addetto alle riprese, attivo sui social. Il legame tra Mirco Barp e lo sport nasce quando era un bambino di neppure dieci anni. Calcio e pallavolo le sue più grandi passioni, senza trascurare basket ed hockey.
È profondamente legato a Belluno, come testimonia lo striscione portato agli Europei 2012 e 2016 in Polonia – Ucraina ed in Francia. Memorabile il gol di Totò Di Natale contro la Spagna ad Euro 2012, con la foto dell’esultanza che fece il giro del mondo e la scritta lì dietro, a dare visibilità e lustro a tutto il nostro territorio. Di curve, tamburi, striscioni e slogan, Barp è forse uno dei più profondi conoscitori qui da noi.
«A otto, nove anni i miei parenti mi portavano a vedere il Belluno in serie C. Dovevo però saper recitare la formazione a memoria. Adesso ricordo con precisione i primi tre giocatori: Bubacco, Cecco, Grion. Ero piccolo, ma alcuni flash li ho ben chiari nelle mente. Una sfida contro il Venezia, l’1-1 contro il Mantova – partita presente nella schedina del Totocalcio –, le sette tribune complessive del Polisportivo, le 11 mila persone contro il Treviso. Qualche anno dopo, memorabile fu la trasferta a Portogruaro. Vincevamo 2-0, i granata impattarono e alla fine De Martin siglò il 3-2 a nostro favore. A proposito, l’ho conosciuto di persona alcuni anni fa ad una cena dall’ex direttore sportivo Augusto Fardin».
Ma lei fu l’anima dei Panthers, i tifosi caldi della pallavolo.
«Iniziai a frequentare il De Mas nel 1979, in coincidenza con il primo anno di serie A. Sfidavamo il Ravenna, vincemmo 3-1. Il tifo vero e proprio cominciò in A2, stagione 1982-1983. Perdemmo quattro partite di fila, ma nel frattempo seguivamo con sempre più calore e passione la squadra. Ci furono due corriere nella trasferta sul campo della Coletto Treviso, ai playoff capitarono Ravenna, Pescara ed Isea Falconara. Contro questi ultimi credo lo sport bellunese ebbe la fortuna di vivere una giornata storica, il 14 maggio 1983. C’era un pubblico pazzesco al De Mas, durante gli scambi iniziali sembrava quasi venisse giù il palazzetto. Vinsero loro il primo set e stavano indirizzando piuttosto bene pure il secondo. Eppure a noi ne bastava solo uno e saremmo saliti in serie A. Ad ogni modo reagiamo e ci imponiamo 3-2. Fu festa condivisa, perché raggiunsero anche loro la massima serie».
Come mai il nome Panthers Belluno?
«Nessun motivo particolare. Qualcuno propose Cobras, a me non dispiaceva Brigate. Optammo in definitiva per Panthers».
E lei a comandare i cori.
«Compravo le cassette di “Tifo” leggendo gli annunci sul Guerin Sportivo. Inoltre cercavo di far imparare i cori ai miei amici. Allora però le fotocopiatrici erano rare, così nelle ore di dattilografia al Catullo preparavo i biglietti con i testi delle canzoni. La prima volta l’insegnante lesse l’incipit “Lotteremo fino alla morte…” e pensò male».
Ci racconti come nacque leggendaria trasferta in solitaria ad Ugento, provincia di Lecce?
«Si giocava a ridosso del ponte del primo novembre 1983. Dovevamo andare in tre o quattro, ma in realtà il nostro calcolo dei prezzi dei biglietti del treno era troppo ottimistico. Io comunque avevo lavorato come manovale da mio zio una settimana proprio per acquistare il tagliando andata e ritorno. 80 mila lire, lo ricordo tutt’ora. Decisi dunque di avventurarmi».
Un viaggio da sogno?
«Tutt’altro. I militari stavano facendo ritorno a casa, quindi quel giorno il treno a Sedico era già stracolmo. Faticai addirittura a salire il primo gradino della carrozza. Mi ero portato dietro un borsone, stavamo strettissimi. Mi venne anche un po’ di sconforto, però pensai: “A Padova tento di prendere una cuccetta”. Come no… in piedi sino a Foggia! Scesi a Lecce e lì trovai Michele Carelli, giocatore proprio dell’Ugento, il quale mi spiegò come muovermi. Altro treno, stavolta sino a Taurisano. In mezzo agli uliveti, mi diressi all’hotel La Balena a Torre San Giovanni. La squadra stava mangiando, io ero timido ma il dirigente accompagnatore Armando Stefani mi fece sedere a tavola con loro. E venni ospitato a dormire in un divano nella camera composta dallo stesso Stefani e dal compianto Giorgio De Kunovich. La sera dopo la partita fui ospite assieme a Roberto Puntoni in una tv locale. Al ritorno volevo addirittura fermarmi a vedere il Foggia calcio, perché lì con i rossoneri giocava Toni Tormen».
Rivalità storiche a quei tempi?
«Direi una in particolare: con il Petrarca Padova. Ci fu qualche sfottò il 22 dicembre 1984, quando li ospitammo in casa in diretta su Telemontecarlo. Il ritorno era il 9 marzo, avevo organizzato tre pullman e il giorno prima andai personalmente a prendere i biglietti. Il clima non era già dei migliori, il giorno dopo non ci fu una grande accoglienza. L’anno dopo, si giocava a Longarone, vennero in nostro supporto i tifosi del Cortina di hockey».
Della pallavolo a Meano cosa ci dice?
«Fondai la squadra nel 1991, raggiungendo la C2 nel giro di un paio d’anni. La spostai a Belluno, chiamandola Pallavolo Belluno. Non a tutti piaceva questa scelta, ma sono sempre stato testardo. Cinque promozioni e due retrocessioni in un decennio, con tanto di approdo in B1». —
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