Monica, una donna per i muscoli del Belluno
BELLUNO. «Posso definirmi la decana in provincia delle massaggiatrici e fisioterapiste. Sto per festeggiare i 22 anni di panchina».
Esordisce così Monica D'Alfonso, forse la più famosa massaggiatrice di casa nostra. Adesso è nello staff del Belluno, ma prima aveva attraversato un po' la provincia: Cavarzano, Feltrese, ma anche Domegge, il vecchio Ripa e tanto altro. Nel calcio, sempre ancorato ad un po' di maschilismo, pian piano la figura femminile si sta facendo largo.
«Ho iniziato con un Domegge nel 1994. Il mister era Bruno Tesan, ex Belluno in serie C. Io abitavo a Ponte e all'epoca gareggiavo nel lancio con il disco, così andavo ad allenarmi con loro ed ho iniziato la mi avventura calcistica».
Approccio quindi un po' casuale con il calcio?
«No no. Praticavo l'atletica e stavo preparando delle gare. Ma nasco infermiera, a differenza di molte altre che sono tutte fisioterapiste. La mia qualifica è massaggiatrice sportiva. Le fisioterapiste hanno soprattutto la competenza legata all'uso delle macchine, io magari ho un approccio diverso riguardo all’alimentazione, al recupero degli infortunati. Ad esempio Simone Bertagno si sta sottoponendo al laser, ma è la fisioterapista del settore giovanile Anna Laura Canova che se ne occupa, proprio perché può farlo».
Dopo Domegge il percorso calcistico come è proseguito?
«Sono passata al Comelico, poi ho seguito un po' mio marito Michele De Min nella sua carriera da allenatore; quindi Ripa, Ztll, fino al Cornuda. Ho avuto un'esperienza nella pallavolo, prima di rientrare a Cavarzano: tre anni lì, due alla Feltrese e infine Belluno».
Immagino non sia facile incastrare lavoro, impegno calcistico e famiglia.
«Bisogna correre parecchio. Per poter essere lì la domenica devo chiedere il permesso all’Ulss, essendo loro dipendente. Ma le due attività riesco a conciliarle, ho un orario a giornata e quindi il lunedì, mercoledì e venerdì sono presente all'allenamento, a differenza del martedì e del giovedì. Poi, in primis ho il ruolo di... mamma e quindi i miei figli e mio marito hanno sempre la priorità».
Ormai possiamo definirti esperta di calcio oppure c'è ancora qualche argomento tabù, come il fuorigioco?
«Ho sposato un marito calciatore e questo sport in famiglia regna. Sul fuorigioco ci siamo ormai. Ogni tanto mi diverto a capire come il mister mette in campo la squadra, chiedendo lumi ai giocatori in panchina. A volte devo domandare il perché di un determinato fischio arbitrale e allora scherzano dicendo che non capisco niente, ma va bene così. Mi diverte, apprezzo stare in mezzo ai giovani. Poi credo che non farò questo lavoro ancora per molto l'impegno è gravoso. Se non altro però ho lavorato sempre con gente molto competente e quest'anno a Belluno è arrivato pure Graziano Santomaso: un sogno, cura tutti gli aspetti atletici».
In gialloblù come procede?
«Alla grande, infatti tendenzialmente dopo un paio di stagione vado via. Ma sono rimasta per la competenza delle persone che ci lavorano. Molti meriti li ha mister Vecchiato. Ognuno fa il suo e lui riesce a tirare il meglio fuori da chiunque. Ho sempre avuto a che fare con persone competenti, ma a lui vanno dati i meriti di riuscire a mettere in sincronia tutti quanti. Poi di sicuro ho imparato tanto pure da Renato Lauria, che a Cavarzano mi ha dato modo di lavorare e migliorare in molti ambiti. Più in generale tutti mi hanno insegnato qualcosa».
Essere una delle poche donne in un mondo ad alto tasso maschile, mai causato problemi di discriminazione?
«È successo un episodio spiacevole a Cavarzano, con un ragazzino della Liventina che mi aveva sbeffeggiato. Adesso però ho un'età in cui la battuta può anche esserci, così come può arrivare pure nel mondo del lavoro, ma sono in una fase della mia vita in cui la sento meno. Quando avevo 20-25 anni ci sono state delle difficoltà, non per il mio lavoro, ma solo perché ero una donna. Penso la maturità sia vedere e valutare una persona in base a quello che fa, e non per il sesso. Poi il calcio è ancora radicato in cultura maschilista, questo sì. A Belluno non ho avuto problemi, ma ci sono arrivata con un bagaglio d'esperienza importante e fa la differenza. Spesso i tabù sono più nell'occhio di chi guarda da fuori, che non da parte dei calciatori e dello staff».
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi