Nel 1953 sullo Stelvio nasce il mito della Cima Coppi

BELLUNO. I “Monti” ad Auronzo di Cadore, da sempre, sono di casa. Ma solo pensare che a vincere, quella volta, sulle rive del Lago, fosse un… “Monti de Roma”, ci voleva davvero tanta fantasia. Ed invece, a 23 anni ed all’esordio tra i professionisti (con una dote di 100 vittorie tra i dilettanti e la partecipazione olimpica ad Helsinki 1952), il campione di Albano Laziale Bruno Monti centrò, sul traguardo di Villagrande, uno dei suoi successi più importanti in carriera.
È il 30 maggio 1953: i corridori risalgono il Veneto da Vicenza dove, il giorno prima, ancora Monti si era imposto. È la seconda volta che Auronzo accoglie il Giro dopo che nel 1946 salutò il trionfo di Fausto Coppi, autore di una controffensiva che mise in crisi Gino Bartali. Monti corre quel Giro con la maglia dell’Arbos assieme, tra gli altri, a Nino Assirelli e Primo Volpi. In maglia rosa c’è, tranquillo abbastanza, lo svizzero Hugo Koblet che, ignaro, non immagina nemmeno la tempesta che sta per abbattersi su di lui da lì a poco! Il laziale vince la quartultima tappa allo sprint (186 km) su Rino Benedetti e, appunto Koblet, che sentiva già suo il Giro; Bartali arriva ad Auronzo dopo oltre un minuto, nel gruppetto con Coppi.
Ma il bello, in questo Giro d’Italia, doveva però ancora venire. La tappa dell’indomani, da Auronzo a Bolzano, è una pagina epica, scritta da galantuomini, prima ancora che da campioni assoluti. C’è una riga di Passi dolomitici da affrontare e Fausto Coppi incendia subito la corsa: “scalda” la gamba sul Tre Croci poi, sul Falzarego, attacca violento ed il gruppo s’arrende subito; gli resistono solamente la maglia rosa Koblet e Fornara. Lo svizzero fiuta il rischio, non molla e risponde da campione a Coppi nella discesa verso Arabba, tentando addirittura la fuga, guadagnando addirittura due minuti. Sul Pordoi, Fausto recupera e poi va pure a riprende lo svizzero sul Sella, rilanciando l’attacco. Koblet, immenso, ritorna su Coppi alle porte di Bolzano e, assieme, arrivano: a Fausto la tappa, lo svizzero mantiene il rosa.
Mancano due frazioni alla fine del Giro e poco meno di 2 minuti separano i due in classifica generale. La “Bolzano - Bormio” è l’ultima insidia, con lo Stelvio. Coppi passa la notte insonne e, con l’amico Biagio Cavanna, pianifica l’impresa; al mattino chiede a “Pinela” De Grandi, il meccanico di fiducia, di montare sulla bici un rapporto estremo: il 46x23, per allora il massimo.
Koblet si presenta al via con gli occhi pesanti, Coppi capisce che l’avversario è in difficoltà.
Parte la gara e scatta Magni, inseguito dagli uomini della Bianchi di Coppi, che annullano l’impresa. Iniziano i 48 tornanti dello Stelvio, tutti su sterrato. Il “fedelissimo” Sandro Carrea controlla all’inizio poi, a Trafoi, rimangono in cinque: Coppi, Koblet, Bartali, Defilippis e Fornara. Coppi “invita” il giovane Defilippis ad attaccare: gli risponde Koblet che coglie il dramma della fine del sogno rosa. Ed è qui che… l’airone decide di dispiegare le ali ed iniziare a volare! Coppi attacca violento e passa in cima con oltre due minuti su Fornara, quasi tre su Bartali, oltre quattro su Koblet. In discesa anche Coppi rischia, cade,ma vincerà, con Koblet che, a Bormio, rimedia tre minuti e mezzo: è il sigillo sulla “quinta sinfonia rosa” di Coppi.
E quel 1 giugno 1953 nasce il mito della “Cima Coppi”.
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