Petdji, la roccia della Dolomiti con il Camerun nel cuore

Il difensore tiene molto alla terra in cui è nato: «Ho sempre la bandiera sul polso». È arrivato in Italia a 13 anni: «Il calcio ha aiutato il mio processo di integrazione»
Gianluca da Poian
Il forte giocatore della Dolomiti Bellunesi Georges Petdji con il polsino del Camerun
Il forte giocatore della Dolomiti Bellunesi Georges Petdji con il polsino del Camerun

Pronto a tifare Camerun. Lontano dalle ansie del campionato per la sua Dolomiti Bellunesi – considerato lo slittamento della ripartenza al 23 gennaio – Georges Petdji può concentrarsi sull’ormai imminente… Coppa d’Africa. Il forte difensore della squadra blancos è un “Leone indomabile”, appellativo con cui vengono denominati i giocatori della nazionale a lungo rappresentata da Samuel Eto’o come uomo simbolo. Ospiteranno proprio loro l’ormai imminente torneo continentale a cui daranno il via domani nella sfida inaugurale contro il Burkina Faso. A proposito, nel girone sono presenti anche Capo Verde ed Etiopia. L’obiettivo è provare ad arrivare in fondo, essendo anche indicati da tutti come una delle contendenti al titolo. Gli esperti individuano l’Algeria campione in carica favorita numero uno, con Egitto, Senegal, Costa d’Avorio e Camerun appunto pronte ad inserirsi nella lotta al titolo.

ORIGINI E... ITALIA

«Tengo tantissimo alla terra in cui sono nato e da dove sono partito», racconta Petdji, classe 1996 che oltre al Belluno e alla Dolomiti Bellunesi ha giocato anche per la Sampdoria primavera e la Pro Patria. «In Italia mi trovo molto bene, ma il Camerun è tutto per me. Quando scendo in campo, porto al polso la bandiera del mio Paese. E quando gli arbitri più pignoli me la fanno togliere, la infilo nei parastinchi. È il mio portafortuna».

Per quanto riguarda le origini, Georges racconta di essere «nato a Yaoundé, nella capitale. Una città con tantissime sfumature e innumerevoli particolarità da visitare e scoprire. Come è meraviglioso il centro di Douala, sul golfo di Guinea».

I ricordi d’infanzia sono indelebili.

«Ho sempre giocato a calcio, fin da piccolo, con una compagnia ampia e variegata di bambini, in un clima di grande festa, allegria e divertimento. Stavamo sempre di fuori, all’aria aperta. Ho vissuto momenti indimenticabili con parenti e cugini, mentre a scuola ho imparato l’inglese e il francese. Ora, con l’italiano, parlo tre lingue. Anzi, quattro considerando il dialetto bellunese».

Petdji si è trasferito in provincia di Belluno all’età di 13 anni.

«Mia mamma era già in Italia con alcuni zii e così l’ho raggiunta. All’inizio non è stato facile e faticavo a comunicare e a farmi capire perché l’italiano è complicato. Poi le cose sono migliorate nel tempo. Ho coltivato le prime amicizie e, in questo senso, il calcio mi ha aiutato parecchio. Qui sono davvero a mio agio. Se ho mai incontrato il razzismo? Al massimo qualche episodio isolato. Contro l’ignoranza si può fare ben poco».

DOLOMITI BELLUNESI

Il duttile giocatore che gli allenatori nel tempo hanno schierato in qualsiasi zolla possibile del campo, ha scelto volentieri in estate di far parte del nuovo progetto sportivo. Di certo una maglia da titolare per lui c’è sempre ed ora i risultati stanno rendendo il percorso davvero interessante. La squadra è quinta e da domenica 23 a Mestre riprenderà la corsa ad un posto nei playoff.

«Ho sposato il progetto fin dall’inizio. Tutto sta procedendo per il verso giusto, speriamo di proseguire su questa strada».

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