Petdji: «Razzismo? È giusto uscire dal campo, però il problema non riusciamo a cancellarlo»

Il giocatore della Dolomiti, insieme a Daouda e Ackon dell’Arsiè,  commentano il vergognoso caso avvenuto domenica in Prima categoria a Cison
Gianluca da Poian
Il difensore della Dolomiti Bellunesi Georges Petdji
Il difensore della Dolomiti Bellunesi Georges Petdji

Condanna unanime delle vergognose parole pronunciate dagli spalti di Cison. Ma le soluzioni proposte sono diverse. Anche in provincia si parla del triste caso avvenuto in Cisonese - San Michele Salsa, ieri divenuto di dominio pubblico nazionale dopo essere stato rilanciato anche da diverse testate online come Gazzetta o Eurosport.

Ma come la pensano tre giocatori assai rappresentativi del calcio provinciale come Georges Petdji della Dolomiti Bellunesi di D, Luca Ackon e Ndiaye Daouda, entrambi in forza all’Arsiè in Seconda.

FUORI DAGLI STADI

«Purtroppo il razzismo nei campi non riusciamo ancora a cancellarlo», allarga le braccia Petdji. «Ci sono ancora certi soggetti che continuano a lasciarsi andare in espressioni del genere. Secondo me servono conseguenze più severe, come l’allontanamento definitivo dai campi sportivi di chi insulta. Nel caso specifico, ha fatto bene il capitano della squadra a far uscire i compagni dal terreno di gioco. Stiamo praticando uno sport seguito da tantissimi bambini, non va dimenticato. Se prendiamo le giuste contromisure fin da subito, questi episodi si possono evitare. E così fin da piccoli i bambini imparano cosa significhi il rispetto delle altre persone, al di là del colore della pelle».

Luca Ackon
Luca Ackon

INTEGRAZIONE

Stando all’opinione di Luca Ackon, «chi pronuncia frasi del genere vuole colpire in modo profondo una persona. Purtroppo gli episodi di razzismo non mancano e spesso mirano a sottolineare le diverse etnie di provenienza. Qualche volta ho sentito anche nei miei confronti delle parole infelici. Poi dipende da come ognuno reagisce e può anche capitare che una situazione venga ingigantita in modo esagerato. Io ad ogni modo tendo a non farci caso se succede, perché nel caso so che questa persona vuole solo sentirsi superiore, pur non essendolo. Se si nota però, tende ad assumere certi comportamenti da distante, ben protetto dal caos generale di una partita. Molto spesso se ti vedesse faccia a faccia, mai avrebbe il coraggio di ripetere frasi così. Tra l’altro, se devo essere sincero, mi fa molto più male quando gli insulti vengono rivolti alla famiglia o comunque agli affetti più cari. Ed essi purtroppo si verificano al di là del colore della pelle di chi riceve le brutte parole».

Riguardo il prendere provvedimenti, l’ex attaccante di Belluno e San Giorgio sembra avere le idee chiare.

«Una presa di posizione eclatante occorre, ma ben più utile è il mandare fuori dall’impianto sportivo chi insulta. Ormai in serie A si individuano subito i razzisti, quindi lo si può fare anche da noi dove ci sono sì e no una cinquantina di persone sugli spalti».

L’aspetto positivo secondo Ackon è che ormai «tutte le squadre hanno giocatori di diverse provenienze. Ciò aiuta l’inclusione e limita sempre più avvenimenti tristi».

Daouda Ndiaye
Daouda Ndiaye

REAZIONE… A SUON DI GOL

Bomber Daouda va per i quarantuno anni e segna da una vita su ogni campo del bellunese, tra l’altro sempre molto apprezzato in qualunque ambiente abbia giocato.

«Sono stato fortunato nel mio percorso calcistico, perché mai nessuno mi ha detto parole del genere. Forse qualcosa agli esordi, però poco altro. Ad ogni modo, meno visibilità diamo a questi personaggi e meglio è. Anzi, secondo me il modo migliore per dire basta agli insulti razzisti è quello di trasferire in campo la rabbia, giocando alla grande in modo da poter zittire così chi si è rivolto a te in quella maniera. Al tempo stesso comprendo comunque il voler dire basta uscendo dal campo, come avvenuto domenica. Certe situazioni non dovrebbero più verificarsi, poco ma sicuro».

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi