Zorzi, il pallavolista volante «Con Velasco addio agli alibi»

Lo spettacolo insieme a Beatrice Visibelli ha svelato molti aneddoti della carriera «La prima convocazione per i Mondiali juniores arrivò dopo un errore clamoroso»



. Andrea Zorzi sul palcoscenico della Sena ha schiacciato un altro pallone vincente. Con una splendida Beatrice Visibelli, in versione Paolino Tofoli, o se preferite, Fefè De Giorgi, il popolare Zorro ha raccontato la propria vita ne “La leggenda del pallavolista volante”, lo spettacolo teatrale scritto e diretto da Nicola Zavagli, che racconta le vicende dello straordinario campione veneto, dalla nascita fino ai giorni nostri o quasi.

Come ha chiosato lo stesso Andrea Zorzi, dedicandosi generosamente agli spettatori, appassionati e tifosi al termine della rappresentazione «ho portato sul palcoscenico le vicende della mia vita con cui ho fatto i conti, mentre quelle ancora irrisolte, rimangono per me».

Si è trattato della seconda serata della stagione di prosa promossa dal Comune di Feltre, che ha riproposto lo sport a teatro, perché, come Andrea Zorzi ha evidenziato, «sport e teatro si guardano con reciproco sospetto, il fatto di aver trovato l’occasione per mettere assieme pubblici diversi è stata una delle cose più belle di questa avventura, nata ormai molti anni orsono».

Perché Andrea Zorzi e Nicola Zavagli abbiano voluto portare la storia del popolare pallavolista sul palcoscenico è lo stesso campione a chiarirlo nel corso dello spettacolo.

«L’impressione comune è che gli sportivi di successo siano eroi senza macchia, senza paura, invece nello sport anche i migliori perdono e devono imparare a rialzarsi e questa è una lezione che vale per la vita, non solo per i campi o le palestre».

“La leggenda del pallavolista volante” narra le gesta di Zorro fin dagli albori, nato a Noale da papà Albino, camionista e mamma Diana, infermiera, cresciuto a Torreselle con la famiglia Volpati, visto che i genitori erano sempre lontani da casa per lavoro. Un’infanzia come tanti, una crescita repentina, tre febbroni per trentaquattro centimetri di altezza in più, degli insegnanti comprensivi e lungimiranti al liceo classico di Castelfranco, che gli proposero di fare sport per migliorare la concentrazione negli studi, l’approdo al Silvelle, le lunghe sessioni di palleggio contro il muro, senza vedere il campo, la voglia di smettere, l’insegnamento di papà Albino che gli diceva «Smetterai a fine stagione, perché ti sei preso un impegno», l’improvvisa chiamata di Padova. Da Padova, a 17 anni, in poi una scalata vertiginosa, non priva di momenti complicati e di sacrifici.

«Scuola a Castelfranco, pranzo a casa, due ore per studiare e via in auto a Padova, da dove rientravo alle dieci di sera per andare a dormire».

Andrea Zorzi racconta l’emozione del primo collegiale in maglia azzurra, con la juniores, un errore clamoroso in allenamento e l’inaspettata convocazione per i mondiali di Madrid.

«Solo molti anni dopo coach Alexander Skiba, un militare polacco tutto d’un pezzo, mi spiegò che mi portò alla rassegna iridata, perché, dopo aver commesso quell’errore, arrossii e mi disse: solo chi ci tiene veramente, si vergogna per un errore».

Rapidamente, poi, l’approdo a Parma, le amicizie con Masciarelli, Giani, Bracci e molti altri, la fama, le vittorie, l’amore con Giulia Siaccioli. Un lungo capitolo merita l’approdo di Julio Velasco alla nazionale e la nascita della “Generazione di fenomeni”, ossia di quella nazionale straordinaria, che vedeva tra le proprie fila, solo per citarne alcuni, campioni come Bernardi, Lucchetta, Cantagalli, Gardini, Tofoli, Giani e proprio Zorzi.

«Con lui ebbe inizio la cultura degli zero alibi, toglietevi qualsiasi alibi ci ripeteva l’argentino».

Ecco allora il pallone dell’europeo schiacciato da Zorro nella finale di Stoccolma, nel 1989, l’oro mondiale del 1990, dopo aver battuto i padroni di casa del Brasile in semifinale e Cuba del “Diablo” Joel Despaigne in finale e la prima grandissima delusione, l’eliminazione ai quarti delle Olimpiadi di Barcellona. Come ci risolleva quando si vede tutto buio, si chiede Andrea Zorzi? Tornando a camminare, passo dopo passo e allora, si vincono le ultime due inutili partite di quell’Olimpiade, in un palazzetto vuoto, lontani dai palcoscenici delle medaglie e via di nuovo, con gli ori agli Europei, World League, mondiali e, infine, Atlanta 96, l’Olimpiade del riscatto e invece, ancora l’Olanda, questa volta in finale e ancora un 2-3 terrificante, che lascia segni indelebili. Dopo quella sconfitta Andrea Zorzi ha ammesso di averci impiegato un poco per sistemare i cocci, non prima di aver ricucito il rapporto con la moglie Giulia, sempre togliendosi di dosso gli alibi e pensando a mettere un piede dopo l’altro, un passo dopo l’altro, per uscire dal buio della sconfitta.

Toccante, infine, nel corso dello spettacolo, il ricordo di Vigor Bovolenta, un angelo che dall’alto protegge la Generazione di fenomeni, della quale fece meritatamente parte. —



Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi