Alessandra e Oliver conquistano Parigi: stella Michelin per gli chef di San Vito, Messi abbonato alla loro cotoletta
SAN VITO DI CADORE. Stella Michelin “made in Cadore” per il ristorante parigino “Il Carpaccio”, ospitato all’interno del lussuoso hotel Le Royal Monceau. A due passi da Montmartre e dell’arco di Trionfo si destreggia abilmente nella cucina del ristorante italiano la chef cadorina Alessandra Del Favero. Classe 1988, di San Vito, Alessandra, insieme al compagno anch’esso chef Oliver Paris, nel 2019 ha deciso di salutare le Dolomiti per intraprendere una nuova, entusiasmante, esperienza all’estero. Il Covid ha modificato sensibilmente i piani della giovane coppia, senza però rovinarne il risultato finale.
È così che, partiti entrambi da San Vito dopo aver deciso di chiudere il ristorante stellato “Aga”, per Alessandra e Oliver si sono spalancate le porte de “Il Carpaccio”, aperto nel 1984 dallo chef italiano Angelo Paracucchi, grande amico di Gualtiero Marchesi.
Partiamo dalla fine: cosa rappresenta per due giovani chef italiani conquistare una stella Michelin in Francia?
«Il motivo di orgoglio è doppio, perché l’assegnazione è avvenuta in Francia, a un ristorante italiano in cui lavorano due chef italiani».
Come e quando è iniziata l’avventura parigina di Alessandra e Oliver?
«C’è un antefatto. Io e Oliver ci siamo conosciuti dieci anni fa nella cucina del ristorante Da Vittorio a Brusaporto (Bergamo). Quando ho deciso di aprire il ristorante Aga all’interno dell’hotel Villa Trieste di proprietà familiare, Oliver mi ha seguito in montagna. L’esperienza di Aga è durata cinque anni. Nel 2019 abbiamo infatti deciso di chiuderlo per trasferirci negli Stati Uniti, a Nolita, dove avremmo dovuto rilevare un ristorante. L’avvento del Covid ha segnato il passo del nostro progetto. A quel punto siamo stati ricontattati dagli chef Enrico e Bobo Cerea del “Da Vittorio”, che ci hanno proposto di tornare da loro perché nel frattempo avevano una serie di nuovi progetti da avviare. Uno di questi era il ristorante “Il Carpaccio” di Parigi. Non ci abbiamo pensato due volte, abbiamo detto di sì ma nel frattempo il Covid è tornato a palesarsi nella nostre vite con la seconda ondata. Abbiamo inaugurato “Il Carpaccio” nel 2020 ma dopo poco siamo stati costretti a chiudere di nuovo per il lockdown. Finalmente, dal settembre del 2021 l’attività è tornata stabile, con grandi soddisfazioni».
Il passo indietro è d’obbligo: come nasce la sua passione per la cucina?
«All’interno dell’hotel Villa Trieste, dove mio papà Lino, che l’anno scorso è mancato, mi ha fatto scoprire sin da piccola la passione per la cucina. La casa di famiglia di nonno Luigi è diventata hotel negli anni Sessanta, gestita dai miei genitori Lino e Teresa. Ricordo che mio papà mi fece impastare alcuni dolci alle uvette. Fu quella la prima volta che mi misi ai fornelli. Custodisco ancora oggi, gelosamente, un grembiule di nonna Marta che non ho mai conosciuto. Abbiamo aperto il ristorante Aga nel 2014, fu un successo tanto che conquistammo anche una stella Michelin. Nel 2019 insieme a Oliver ho deciso che quell’esperienza doveva lasciare posto a qualcos’altro nella nostra vita. Col senno di poi, dico che Aga non sarebbe sopravvissuto al periodo del Covid».
Cosa ha portato in Francia della vita da montanara?
«La passione per le erbe aromatiche, adesso ne pianteremo alcune sul terrazzo dell’hotel situato al primo piano. Cosa mi manca di San Vito? Tutto, l’aria di montagna è speciale. Appena posso scappo a casa, anche solo per due giorni».
Quali sono i piatti che vanno per la maggiore?
«La pasta, simbolo della cucina italiana. I paccheri alla Vittorio con pomodoro e formaggio fresco sono un must».
Tra i clienti, il calciatore Lionel Messi è ospite frequente. Piatto preferito di Leo? «Messi va pazzo per la cotoletta di vitello, meglio conosciuta come orecchio di elefante per le sue dimensioni. L’abbinamento è quantomeno stravagante: nessun contorno a base di verdure o di patate, ma un piatto di spaghetti al burro».
Nella testa di Alessandra c’è già spazio per il futuro?
«Adesso no, mi godo questa esperienza. Nel momento in cui dovessi avvertire la necessità di cambiare, inizierei a guardarmi attorno. Tornare a casa? Magari un giorno...» .
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