Corsa estrema in Canada rischia di perdere un piede

Si era preparato per mesi, condizione fisica e mentale erano quelle giuste, anche l’attrezzatura. Ma il sogno di Fabio De Mas, 41enne ultramaratoneta bellunese, si è strasformato in un incubo per le temperature glaciali: quasi 50 gradi sottozero. A fargli alzare bandiera bianca un principio di assideramento, che ha rischiato di costargli l’amputazione delle dita dei piedi.

BELLUNO. Si era preparato per mesi, condizione fisica e mentale erano quelle giuste, anche l’attrezzatura. Ma il sogno di Fabio De Mas, 41enne ultramaratoneta bellunese, è stato trasformato subito in un incubo dalle temperature glaciali: quasi 50 gradi sottozero. A fargli alzare bandiera bianca un principio di assideramento, che ha rischiato di costargli l’amputazione delle dita dei piedi. La resa al secondo giorno della Yukon Arctic Ultra, la proibitiva competizione di 430 miglia (692 chilometri) che si corre lungo il confine tra il Canada e l’Alaska, sulle orme della leggendaria via dei cercatori d’oro.

Partito da Belluno lo scorso 5 febbraio, De Mas era arrivato il giorno dopo a Whitehorse, la città canadese da dove parte la gara (arrivo a Dawson City). «Siamo partiti domenica 8, alle 10.30 ora locale, temperatura di 35 gradi sottozero», spiega l’ultramaratoneta dalla sua camera d’albergo a Whitehorse. «Stavo bene e al primo check point mi sono fermato solo mezz’ora, intorno alle 19, giusto per scaldarmi e riempire il thermos di caffè bollente. Sono ripartito, tutto stava andando bene. Verso le 2 di notte ho deciso di non esagerare, mi sono fermato in un bosco per riposare, ma non sono nemmeno riuscito a montare la tenda (ogni concorrente, oltre agli sci, si traina una slitta con 20 chilogrammi di equipaggiamento, ndr), in pochi secondi ero già congelato, le cerniere non si aprivano più. Ho fatto in tempo a gonfiare il materassino e infilarmi nel sacco a pelo, realizzato per resistere fino a 45 sottozero. Il freddo era allucinante, il mio termometro arriva fino a 40 sottozero e si era rotto (il rapporto dell’organizzazione riferiva che nella notte si erano raggiunti i 48 sottozero, ndr). Pativo troppo e ho capito che dovevo andare avanti per non rimanerci. Sono ripartito verso le 3: paesaggi indescrivibili, ogni tanto qualche fuoco dei bivacchi di altri concorrenti. Ho tirato a testa bassa, quando è spuntato il sole le cose sono migliorate e verso le 12 sono arrivato al secondo check point, dopo aver percorso 95 chilometri. Lo staff medico mi ha visto le dita delle mani e mi ha fermato: continuare in quelle condizioni, per altri 10 giorni, era del resto impensabile e ho accettato la resa. Poco dopo ho capito che il vero problema erano i piedi: tutte le dita erano nere, solo i mignolini avevano un colore normale».

Il 41enne bellunese ha atteso sei ore in tenda l’arrivo di una motoslitta, «poi tre ore di viaggio interminabili, altrettante in auto, fino all’ospedale di Whitehorse, dove ho trascorso la notte in osservazione. Per fortuna la circolazione dei piedi è ripresa regolarmente, scongiurando l’amputazione e mi hanno lasciato tornare in albergo».

Fabio De Mas, oltre che organizzatore della Dolomiti Ski Run, vanta un bagaglio d’esperienza notevole nelle corse estreme, tra cui la Marathon des Sables, l’infernale ultramaratona che si corre nel deserto del Marocco. «La durezza di questa gara è indescrivibile, è dolorosa. Se ci riproverò? No, adesso dico no, voglio solo tornare a Belluno il prima possibile. Ma sono contento: era un mio sogno e la ritengo comunque un’esperienza meravigliosa. Ho capito i miei limiti, ma ci ho provato».

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