Dal Bellunese un secondo kamikaze della Jihad
BELLUNO. Dall’Alpago in Siria in nome dell’Islam. Accompagnato dalla moglie e tre bambine piccole. A gennaio, il 25enne muratore macedone Munafir Karamaleski ha salutato papà Mustafa, mamma Rahima e i cinque fratelli che vivono a Palughetto, una minuscola frazione di Chies d’Alpago, ed è partito insieme a Ismar Mesinovic, che non tornerà mai a casa. Il 38enne imbianchino bosniaco residente a Longarone, sposato con la cubana Lidia Solano Herrera e padre di Ismair Tabud, è morto in una battaglia dei ribelli contro l’esercito del presidente Bashar al-Assad.
La donna adesso vive a Ponte nelle Alpi, ospite della sorella Giusy e del suo compagno. Mentre non si conosce il destino del piccolo, che proprio domani compie 3 anni e che potrebbe essere in una scuola coranica, ma nessuno sa con certezza qual è il suo destino e la madre è sinceramente disperata. Un passaggio a Plasnica, il paese d’origine in Macedonia e il volo verso il Medio Oriente, in uno dei teatri di guerra più pericolosi, dove sarebbe tuttora, vivo.
C’erano altri ragazzi trapiantati nel Bellunese. Tutti frequentatori fedeli del centro culturale islamico Assalam-Pace di Ponte: si va a combattere e non si sa se si ritorna. Tra gli amici più stretti dei due, F. Abdessalam Pierobon: cittadino italiano, battezzato Pierangelo e convertito all’Islam. Lavora da imbianchino, come Mesinovic e ultimamente qualcuno l’avrebbe segnalato addirittura a Genova. Era stato lui a consigliare a Mesinovic di frequentare un corso dell’arte marziale Kyusho con il maestro di Belluno, Omar Dal Farra, tra la palestra Sporting di via Feltre e il palasport “Annibale De Mas”, prima di mettersi in viaggio. Due o tre mesi di lezioni, non di più, mentre Pierobon è più esperto. In un combattimento domestico, i due allievi di Dal Farra si erano addirittura feriti, per aver voluto esagerare.
A Palughetto, sono tutti molto preoccupati, malgrado non siano mancati i contatti, anche negli ultimi giorni. Il nuovo sindaco di Chies d’Alpago, Gianluca Dal Borgo non ha ricevuto certificati di morte, ma nemmeno ne aspetta e ha buona speranza che non sia necessario compilare quel documento, perché sempre all’inizio dell’anno è stato proprio Munifer Karamaleski a rivolgersi all’ufficio anagrafe, per farsi cancellare. Motivo: stava per tornare in Macedonia. Nessuno immaginava che da lì si sarebbe imbarcato per la Siria, insieme a Mesinovic e probabilmente altri ragazzi di queste parti. Gente che aveva un lavoro onesto e famiglie, più o meno numerose da mantenere. Incredulità al centro islamico Assalam di Ponte, dove il presidente dell’associazione culturale Assan Lambarki parla apertamente di scelta assurda di andare a combattere in Siria, consigliata da qualcuno che a «questi ragazzi sa come scaldare le orecchie». Non dev’essere per forza un reclutatore: basta anche un imam.
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