Il giudice boccia la class action contro Luxottica

Il ricorso contro il licenziamento presentato fuori i termini di legge. I lavoratori dovranno pagare 43 mila euro per il rimborso delle spese processuali. L'avvocato degli ex dipendenti non si dà per vinto: <Presenteremo l'appello>
Agordo, 12 ottobre 2006. Lo stabilimento della Luxottica azienda produttrice di occhiali
Agordo, 12 ottobre 2006. Lo stabilimento della Luxottica azienda produttrice di occhiali

BELLUNO. L’impugnazione del licenziamento è avvenuta oltre i termini dei 60 giorni fissati dalla legge: per questo motivo non ci sarà alcuna causa di lavoro per i 19 ex dipendenti di Luxottica che rivendicavano il diritto all’assunzione. Così ha deciso il giudice del lavoro del tribunale di Belluno, Anna Travia, in merito al procedimento collettivo seguito dallo studio legale Ponticiello di Treviso contro il colosso dell’occhialeria di Agordo e sei agenzie interinali.

Ma c’è di più: il giudice, per tre (dei 10) ex lavoratori dello stabilimento di Pederobba (quelli seguiti dalla Umana) ha riconosciuto, in risposta all’eccezione sollevata dal legale dell’agenzia interinale, la propria incompetenza territoriale, individuando nel tribunale di Treviso sezione Lavoro l’organo giudicante competente.

Una sentenza che non sarà accolta bene dagli ex dipendenti, condannati anche a pagare le salate spese processuali (7 mila euro per il compenso professionale dei legali di Luxottica e 6 mila euro per ciascuna delle sei agenzie di somministrazione lavoro). Un totale, quindi, di 43 mila euro a cui vanno aggiunte le spese generali, l’Iva e i diritti vari. Una somma alquanto elevata che difficilmente i ricorrenti potranno rifondere subito, visto che pochissimi di loro lavorano e quelli che hanno un impiego hanno contratti a tempo molto limitati.

Una sentenza che ha lasciato perplesso lo stesso avvocato Ponticiello, che annuncia con grande determinazione il ricorso in Appello.

A suscitare le perplessità maggiori del legale che rappresentava gli ex lavoratori dell’occhialeria, quelle righe di motivazione del giudice in cui viene evidenziato che “l’articolo 6 della legge 604/66 come modificato dall’articolo 32 della legge 183/2010 (cioè il collegato lavoro), prevede infatti che il licenziamento deve essere impugnato, a pena di decadenza, entro 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta”.

Ed è proprio sulla comunicazione in forma scritta che «noi abbiamo basato il nostro ricorso al giudice del lavoro, perché questa comunicazione non c’è stata. A questo punto il problema non risolto dalla sentenza è capire se la comunicazione del recesso dal contratto di lavoro debba avvenire in forma scritta consegnata al lavoratore, come dice il collegato lavoro citato dallo stesso giudice», spiega Mina Ombretta Ponticiello, «oppure se sia sufficiente il termine finale apposto nel contratto di assunzione, come hanno fatto presente le agenzie interinali. Nel secondo caso, a nostro avviso, il lavoratore, di fatto, perde ogni diritto e a nulla vale il principio che un contratto a tempo, come quello con le agenzie interinali, possa essere stipulato solo in presenza di una causa». In poche parole, per lo studio legale trevigiano la sentenza non avrebbe chiarito alcunché del problema sollevato in sede di discussione davanti al giudice. «In Appello vedremo di avere una risposta al nostro quesito», conclude Ponticiello.

E mentre dalla società del patron Del Vecchio non arriva alcun commento alla sentenza, gli avvocati dell’agenzia interinale Manpower, Stefano Bettiol e Anna Luisa Caimmi, evidenziano: «La decisione era scontata, visto che già dalla prima udienza era stato rilevato da tutti i convenuti il problema della decadenza dei termini della messa in mora, cosa di cui anche il giudice ora ha preso atto».

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