Luxottica, per Del Vecchio un trampolino chiamato Cadore

Un'intervista a Giancarlo Soravia Capoto, testimone del decollo, racconta come Luxottica è diventata il colosso dell'occhialeria: «Dall’alleanza con Metalflex alla nascita nel 1961 del colosso mondiale»

CADORE. La fusione di Luxottica con il gruppo francese Essilor, leader mondiale nella produzione di lenti oftalmiche, annunciata il 16 gennaio scorso, è stata variamente commentata da analisti ed esperti di tutto il mondo. Il matrimonio, che, avrà il suo closing nel secondo semestre del 2017, creerà un colosso mondiale tutto dedicato alla vista, pronto ad offrire risposte concrete e qualificate ai bisogni di oltre 4,5 miliardi di persone, dei quali 2,5 non hanno potuto finora avere accesso alla correzione visiva di cui hanno bisogno.

Al raggiungimento di questo eccezionale traguardo, viene naturale volgersi al passato e ricordare come, dove e quando partì la straordinaria avventura industriale. Ne parliamo con Giancarlo Soravia Capoto, per 30 anni personaggio di spicco della fabbrica Metalflex di Venas di Cadore e testimone del decollo, tutto cadorino, di Leonardo Del Vecchio.

Soravia, lei ha pubblicato sul suo Blog “Cadorin Books” un interessante “Contributo cadorino alla costituzione della Luxottica s.a.s. di Agordo”. Ci spiega cosa c’entra il Cadore con l’Agordino?

«Alla fine degli anni ‘50 il Cadore, a differenza di altre zone della provincia di Belluno, tra cui l’Agordino, era già piuttosto industrializzato. Questa azienda, sorta nel 1948, era la Siclov (Società Industria Cadorina Lavorazione Occhiali Venas), poi denominata Metalflex. Sul mensile “Il Cadore” del 10 agosto 1960, comparve un invito diretto ai “Sigg. Industriali” intenzionati a “impiantare, sviluppare, decentrare le proprie aziende” in provincia di Belluno, in cui si offrivano “località adatte e maestranze intelligenti, serie ed attive”, con l’elenco di varie agevolazioni, sia da parte dello Stato con benefici fiscali, sia da parte dei Comuni con la concessione di aree e servizi, sia da parte del Consorzio Bim con finanziamenti a fondo perduto».

Fusione Luxottica-Essilor, nasce colosso mondiale dell'occhialeria
Lo stabilimento Luxottica ad Agordo

Ma l’Agordino allora poteva offrire un contesto capace di attrarre investimenti?

«Decisivo fu il ruolo del sindaco di Agordo di allora, il cavalier Carlo Bortolini (Follina, 1903 - Agordo, 1985), i cui meriti oggi non sono riconosciuti come dovrebbero. Egli, preoccupato per la chiusura delle miniere locali con conseguente perdita di posti di lavoro e desideroso di dare uno sbocco industriale al comune, acquisì da vari privati dei terreni in località Valcozzena, li dotò di infrastrutture e li offrì ai cadorini. 

Tutto ciò interessò dunque la Metalflex?

«La Metalflex disponeva di un piccolo stabile in centro a Venas, poi ingrandito in più riprese, ma comunque limitato per le proprie necessità produttive, per cui una nuova fabbrica ad Agordo avrebbe corrisposto alle sue esigenze. Il primo problema da affrontare fu però la ricerca di una persona da mettere alla testa della nuova impresa. La persona che fece da tramite tra i cadorini e Leonardo Del Vecchio si chiamava Mario Da Rin Pagnetto, (Vigo di Cadore, 1915 - Calalzo, 2006), allora attivo come rappresentante di commercio della Metalflex in varie regioni italiane e ancora presente, a causa di due o tre vecchi clienti, a Milano, zona che già dagli anni ‘50 era stata assegnata a Vincenzo Zampillo  (Caivano, 1928 - Milano, 1996), futuro suocero dello stesso Del Vecchio, in quanto padre di Nicoletta. Da Rin frequentava Del Vecchio come fornitore di aste in alluminio anodizzato per la Metalflex dal suo laboratorio a Milano, lo propose ai principali descrivendolo come un bravissimo giovane ed esperto stampista e gli industriali cadorini ne furono entusiasti, approvando in pieno la scelta per la destinazione di Agordo.

Ma chi era a capo della Metalflex allora?

«Si trattava di una società semplice tra Francesco Da Cortà (Pozzale, 1922 - 1981) che deteneva il 50% delle quote societarie, Elio Toscani (Venas, 1920 - 1997) e Vittorio Toscani (Venas, 1927 - 1966), fratello di Elio».

Quando e come si fece questo “matrimonio”?

«Del Vecchio ebbe l’accortezza di portare egli stesso lo statuto della nuova società (una accomandita semplice), che era stato predisposto non certo a suo sfavore da un noto commercialista di Milano, statuto che il 27 aprile 1961 fu incorporato nell’atto costitutivo della “Luxottica di Del Vecchio & C.” ».

Quanti i soci e quale il loro peso ?

«I soci erano tre, Da Cortà Francesco e Toscani Vittorio accomandanti, Del Vecchio Leonardo accomandatario. I primi articoli dicevano che la Società aveva per oggetto l’industria ed il commercio di occhialeria, stamperia ed attività affini, con durata stabilita fino al 31 dicembre 2000. Il capitale sociale era determinato in 1.500.000 lire sottoscritto e versato dai soci in parti uguali (500.000 lire a testa).

Il nome “Luxottica” fu scelto da Del Vecchio?

«Ricordo che Francesco Da Cortà si vantava di aver scelto egli stesso il nome, che nel tempo si è rivelato fortunatissimo. Devo dire che Da Cortà lasciò sempre trasparire il proprio rammarico per aver commesso l’errore di sottovalutare le doti del socio Del Vecchio e per aver fatto perdere alla Metalflex un così eccezionale elemento».

Però, fino a questo momento la Metalflex sembrava guidare la danza senza problemi…

«Il momento topico fu l’improvvisa morte, nel 1966, di Vittorio Toscani, a seguito di un colpo apoplettico. Vittorio, che era stato l’animatore dell’avventura agordina della Metalflex, lasciava la giovane moglie e due bambine di sei e tre anni. Egli aveva puntato moltissimo sugli occhiali di acetato a iniezione e Del Vecchio fu in questo campo un tecnico perfetto. Nel 1966 la Luxottica aveva 38 dipendenti, nel 1968 63, mentre la Metalflex contava un centinaio di dipendenti».

Ma le due fabbriche erano concorrenti o complementari tra loro?

«La Metalflex in parte produceva in proprio e in parte commercializzava i prodotti della Luxottica, avendo una sua rete di venditori, sia in Italia (negozi di ottica) che all’estero (importatori). Un giorno Del Vecchio chiese ai soci di commercializzare anche una linea “Luxottica”, ma questi rifiutarono e da lì cominciarono a sorgere degli attriti, finché un giorno Del Vecchio offrì ai soci una determinata cifra per rilevare le loro quote. Ricordo che fui io stesso a far da tramite per detta richiesta tra Del Vecchio e la proprietà Metalflex. La compravendita finale avvenne nel 1969 presso il notaio Adolfo Soccal. Ricordo che tutti gli intervenuti notarono come Del Vecchio sprizzasse letteralmente felicità al raggiungimento di un obiettivo per lui fondamentale. Io avevo caldamente sconsigliato ai miei principali  di cedere le loro quote».

Perché?

«La Luxottica era per la Metalflex la sua unica fornitrice di montature in acetato a iniezione (oltretutto di una qualità insuperabile) e la sua principale fornitrice di componenti vari in metallo. Ecco quindi che, con mio grande disappunto, la cessione della quota di maggioranza della Luxottica a Del Vecchio, causò dalla sera alla mattina un vuoto produttivo e commerciale nella Metalflex, che venne logicamente colmato dalla prima. Essa, infatti, in poco tempo passò anche alla produzione di montature in metallo complete e poi di montature in acetato da lastra. La Metalflex perse così i suoi migliori clienti, che si rivolsero direttamente alla fabbrica di Agordo, guidata da un “patron” giovane, affidabile, esperto tecnico, dinamico, che ispirava totale fiducia». 

Ma oggi possiamo dire che la scelta della Metalflex fu autentico autolesionismo?

«In effetti il tutto avvenne in un contesto paradossale: chi aveva i soldi vendette e chi (allora) non li aveva acquistò. Lo stesso Del Vecchio un giorno mi confidò la sua meraviglia per la decisione dei cadorini di vendere, proprio quando la fabbrica, dopo anni di comuni sacrifici, poteva iniziare a dare i suoi frutti. L’atto di vendita del 1969 porta la firma di Francesco Da Cortà per le proprie quote e di Maria Gei vedova Toscani, debitamente autorizzata dal Giudice Tutelare, per le quote intestate per successione alle figlie minori (lei ne era solo in parte usufruttuaria). Veramente la decisione della vedova Toscani di seguire Da Cortà fu contrastata, perché da un lato lei ammirava fortemente Del Vecchio, ma d’altro lato non se la sentiva di contrariare Da Cortà che aveva preso una posizione fortemente critica verso lo stesso Del Vecchio. Per completare il quadro, sulle scelte influì anche Elio, cognato di Maria, socio alla Metalflex ma non (almeno legalmente) alla Luxottica, che era sulle posizioni di Da Cortà. Secondo la mia modesta opinione, fu anche il Giudice Tutelare a sbagliare nel concedere l’autorizzazione alla vendita, per difetto di motivazione, mentre sarebbe stato più corretto lasciare che fossero state le minori stesse a decidere sulla sorte dei loro beni, alla data del rispettivo compimento della maggiore età».

Tutto questo ha determinato una crisi irreversibile per la Metalflex?

«Questo errore  non determinò certamente il tracollo immediato della Metalflex, anche perché poi la sua clientela venne faticosamente ricostruita grazie alla scoperta di nuovi mercati e grazie al ricorso a nuove tecniche di vendita. Ma c’è un proverbio in dialetto che dice ”Scampa an ponto, scampa cento” (Cade un punto (a maglia), cadono cento)».

Luxottica-Essilor: nasce il colosso degli occhiali

C’è qualcosa, secondo lei, che accomuna la mossa di Del Vecchio del 1969 con quella di oggi con la francese Essilor?

«Ho letto un passaggio interessante di un’intervista pubblicata da Business Insider Italia il 17 gennaio scorso, in cui Del Vecchio dice tra l’altro: “E’ vero che trattiamo da molto tempo, ma finora i francesi non avevano mai voluto accettare la differenza di peso tra gli azionisti, tra Delfin e gli altri. Ora hanno accettato questa differenza e abbiamo fatto l’affare”. Questa affermazione mi ricorda come anche lo statuto Luxottica s.a.s. del 1961 ponesse il socio accomandatario in posizione privilegiata, assimilabile alla “differenza di peso” nell’odierno affare Essilor. Quando arrivai alla Metalflex nel 1963 mi meravigliai del tipo di società scelto e delle clausole annesse, ma, come si dice, “cosa fatta capo ha”. A mio parere la mossa di oggi con la francese Essilor, più che rimandare alla vicenda del 1969, ha delle analogie con quella del 1961, allorché Del Vecchio riuscì a farsi firmare dai soci lo statuto redatto dal suo commercialista di Milano».

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